Precarietà
e controsaperi "...per gli studenti la precarietà è sia vissuta nel presente come necessità di mantenersi , sia come aspettative future di lavoro una volta usciti dall’università, sia ancora come clienti di una azienda, l’università , nella quale il sapere prodotto è sempre più frammentato e privato delle sue potenzialità critiche..." |
Precarietà sociale e
flessibilità della produzione sono i due pilastri su cui si
regge il sistema capitalistico attuale. Se dal lato della produzione,
per far fronte ad un mercato globale sempre più instabile e
deregolato, il capitale sta mettendo in atto processi di
ristrutturazione come la terziarizzazione produttiva, la
delocalizzazione delle imprese e la strutturazione a network, che
permette di sfruttare al massimo le risorse locali esternalizzando i
rischi di un eccesso di produzione ed i costi sociali, dal lato del
lavoro si dispiegano processi di precarizzazione diffusa che producono
incertezza, individualizzazione e ricattabilità .
L’individualizzazione dei percorsi lavorativi, la
delegittimazione degli istituti sociali e collettivi di mediazione tra
capitale e lavoro( oggi più che mai funzionali al controllo
della forza lavoro), la messa a valore di qualunque aspetto della vita,
oltre alla creazione di immaginari che trasfigurano il rischio in
opportunità, attivano e incorporano la precarietà
in ogni ambito di vita permettendo al capitale di recuperare nuovi
margini di profitto e limitare le resistenze sociali.
La precarietà è una condizione generalizza, non
riguarda solo una parte del mondo del lavoro, i cosiddetti lavoratori
atipici , ma la forza lavoro in generale. Questo perché,
sempre di più, anche i lavoratori a tempo indeterminato
vivono sulla loro pelle l’insicurezza della propria
condizione, sia a causa del rischio quotidiano di veder modificata la
proprio posizione lavorativa, sia a causa del progressivo impoverimento
del potere d’acquisto dei salari che sta producendo nuove
forme di povertà e emarginazione sociale. A tutto questo si
aggiunge il progressivo smantellamento del welfare state e la
conseguente messa a valore dei bisogni prima coperti dai cosiddetti
servizi pubblici.
E' quindi più che mai fallimentare un tentativo di
ricomposizione delle lotte sul terreno della difesa del lavoro a tempo
indeterminato e della estensione dei suoi diritti e garanzie alle nuove
tipologie lavorative , sia perché è necessario
rivendicare le potenzialità di una flessibilità
agita e non subita che sappia adattarsi alle mutevoli esigenze di vita
dei soggetti , sia perché il mito della piena occupazione
è gia stato rideclinato nei termini della sovrapposizione
tre tempo di vita e tempo di lavoro, i cui confini si fanno sempre
più incerti non solo nel mondo del lavoro ma ancor prima in
un sistema educativo che tende sempre più ad erogare saperi
immediatamente messi a valore nella macchina produttiva ed a questa
funzionali.
Tuttavia, se la precarietà è una condizione
subita da tutti gli uomini e le donne al lavoro, diversi sono i
soggetti che compongono il precariato sociale, così come
diversi sono i dispositivi di precarizzazione messi in atto dal
capitale per controllare la forza lavoro, basti pensare ai migranti per
i quali il contratto di lavoro non consente solo l'accesso al salario
ma la possibilità di accedere al permesso di soggiorno
sfuggendo alla reclusione nei cpt, o agli studenti per i quali la
precarietà è sia vissuta nel presente come
necessità di mantenersi , sia come aspettative future di
lavoro una volta usciti dall'università, sia ancora come
clienti di una azienda, l'università , nella quale il sapere
prodotto è sempre più frammentato e privato delle
sue potenzialità critiche .
Le possibilità di lotta e di ricomposizione devono quindi
partire dalla molteplicità di figure che attraversano il
precariato sociale, creando nuove forme di autorganizzazione e aprendo
nuovi spazi di conflitto nel tessuto metropolitano, come luogo in cui
si rendono visibili nella loro materialità le contraddizioni
e i nodi irrisolti del lavoro precario, e luogo dal quale partire per
intrecciare positivamente le lotte .
Il sistema produttivo a noi
contemporaneo necessita sempre più di una
"operaietà" diffusa e dotata di una "cittadinanza" di sapere
generico, di lavoratori con capacità comunicative e
linguistiche, di soggettività proletarie (o iperproletarie)
in grado di offrire corpi e menti alla macchina del profitto secondo i
ritmi e le necessità di quest'ultima. Il dominio ha bisogno
di un sistema formativo in grado di produrre questa forza lavoro, e
l'università è parte integrale di questo piano.
La formazione permanente, consentendo l'accumulo di quote di saperi e
competenze tanto nel periodo scolastico quanto per l'intero corso della
vita professionale, si configura di fatto come omologa e contemporanea
al lavoro flessibile e precario. L'università dequalificata
dal lato didattico e culturale e dequalificante per quanto riguarda il
futuro lavorativo è un nodo centrale di questo processo:
garantisce la gestione e la riproduzione degli assetti sociali e
produttivi esistenti quanto la sperimentazione di competenze e saperi
funzionali all'innovazione della megamacchina capitalistica. Stiamo
parlando di quei campi di ricerca che utilizzano intelligenze e
capacità creative al fine di incrementare gli spazi di
profitto delle aziende. I luoghi pubblici della cultura e
dell'istruzione si mostrano così pienamente integrati nella
logica privata dell'impresa e del mercato. L'università
dentro la formazione, la formazione dentro il capitale. Come "momento"
della produzione immateriale capitalistica e come produzione di un
corpo studentesco a cui viene offerto sempre meno un sapere critico.
Infatti l'università post-riforma Berlinguer-Moratti,
restringendo notevolmente i tempi del confronto e dell'approfondimento
ed escludendo parte degli studenti dalle lauree specialistiche,
comprime sempre più gli spazi della rielaborazione e della
riflessione individuale. Chi governa l'Università prova a
disciplinare i saperi che la animano, ad imbrigliare "la
volontà di scoperta" in moduli didattici scadenti, a farci
credere che lo scenario sociale in cui viviamo sia necessario solo in
quanto esistente, a ipostatizzare le istituzioni del governo liberale,
a cristalizzare le forme della subordinazione economica. Ma la retorica
vuota di una presunta "neutralità" della cultura fa
necessariamente i conti con la natura costitutivamente ambigua dei
saperi: con l'opportunità di essere letti e rivisitati da
intenzioni e desideri molteplici, con una loro rideclinazione in chiave
critica, con la creatività del lavoro vivo, con la
reinvenzione di significati e immaginari. Il potenziale di
conflittualità radicale insito nelle conoscenze é
lo sfondo in cui si muove e comunica la soggettività
critica, dove ripensa le possibilità e le pratiche della
trasformazione. L'Università può così
diventare un momento di controformazione, un luogo in cui vive e pulsa
il desiderio di confrontarsi con l'esistente per rivoluzionarlo. Da
dentro la produzione immateriale, dal riconoscersi parte sussunta dalla
catena capitalistica nasce il desiderio di un suo superamento,
l'immagine di forme altre di relazione sociale e di cooperazione
produttiva. Il nostro muoverci collettivo verso ALTRO si fa
controsoggettività, sedimenta autorganizzazione, pratica e
comunica antagonismo.
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