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Per una definizione di
precarietà studentesca

"Riflettere sulla natura della soggettività studentesca oggi, significa necessariamente pensarla dentro i profondi processi di trasformazione che investono da anni le nostre società ed il capitalismo contemporaneo. La precarietà diffusa ad ogni livello si mostra sempre più come nodo cruciale del sistema produttivo ed insieme destino individuale che attraversa ogni presente ed ogni progetto di futuro..."

Riflettere sulla natura della soggettività studentesca oggi, significa necessariamente pensarla dentro i profondi processi di trasformazione che investono da anni le nostre società ed il capitalismo contemporaneo. La precarietà diffusa ad ogni livello si mostra sempre più come nodo cruciale del sistema produttivo ed insieme destino individuale che attraversa ogni presente ed ogni progetto di futuro. L’odierna forma di asservimento ha una straordinaria capacità di modularsi, adattando i propri dispositivi alla profonda diversità di luoghi, soggetti, condizioni; sotto il comune denominatore dell’incertezza, della ricattabilità, dell’atomizzazione, della piena disponibilità dell’ esistenza al progetto dell’accumulazione. Pensare che la condizione studentesca si collochi al di fuori o al margine di questi processi sarebbe un grave errore. La precarietà non è soltanto il futuro che ci attende dopo l’università, è anche e soprattutto la condizione del nostro presente, dentro e fuori le aule delle facoltà. Siamo precari nei bisogni materiali, nelle condizioni della sopravvivenza quotidiana, ma lo siamo anche nel percorso formativo. Crediamo sia importante soffermarci adesso su quest’ultimo punto, riservandoci di affrontare più avanti e dettagliatamente come la precarietà nei bisogni e quella lavorativa si intreccino con la nostra condizione di studenti.
Parlare di precarietà nel percorso formativo significa confrontarsi con la riforma del 3+2 ed in particolare con alcune delle sue principali articolazioni, che hanno significativamente innovato il modo della trasmissione dei saperi quanto la scansione temporale e l’organizzazione dell’intero percorso di studio. Da questo punto di vista sicuramente la novità più rilevante è rappresentata dal sistema dei crediti formativi. Ad ogni esame corrispondono x crediti, il cui numero è stabilito sulla base delle ore di lezione e di quelle di studio individuale. Per concludere il primo ciclo di studi è necessario raggiungere il totale di 180 cfu. Nelle pieghe del sistema dei crediti si nascondono alcuni dei dispositivi di cui vogliamo occuparci.
E’ ormai evidente lo scadimento dell’offerta didattica, cui i crediti hanno contribuito in misura decisiva: si riduce consistentemente qualità e quantità dei programmi in direzione di una progressiva semplificazione e tecnicizzazione dei saperi. Saperi “in pillole”, completamente depotenziati e frammentati dei quali gli studenti sono soltanto fruitori passivi, incoraggiati a dimenticare il più in fretta possibile quanto appreso, per essere pronti a ricevere un nuovo segmento di conoscenza, ancora una volta temporaneo e isolato. Parallelamente a ciò va avanti ormai da molti anni all’interno del mondo accademico (ma non solo) una crescente settorializzazione degli ambiti del sapere. Discipline un tempo affini vengono separate, si moltiplicano i corsi di laurea, seguendo la tendenza generale ad una specializzazione spesso svuotata di contenuto. Una mappa della trasmissione della conoscenza che disegna una condizione studentesca di fronte al sapere che non esitiamo a definire precaria. Cosa significa essere costretti a subire una conoscenza frammentata e dequalificata, se non rendere ancora più difficile la comunicazione tra i saperi ? Non è anche e soprattutto attraverso la comunicazione e la condivisione delle conoscenze che può aprirsi la possibilità di una loro reinvenzione e di un utilizzo per finalità radicalmente antagoniste a quelle del dominio? L’attuale disciplina del sapere, chiuso, frammentato, specializzato, è indispensabile ad impedire che si liberi il potenziale critico della conoscenza. Oggi più che mai il sistema universitario così organizzato si rivela teso a perpetrare e garantire gli assetti sociali e produttivi esistenti. Il modo stesso della trasmissione delle conoscenze è quindi asservimento e subordinazione, costruito con il preciso obiettivo di privare gli studenti, già durante l’apprendimento e lo studio, della capacità e quindi della possibilità di riprogettare o anche solo mettere in discussione l’esistente. In questo senso, prima di tutto, è quindi possibile parlare di precarietà nel percorso formativo, ma non solo. Anche dentro la nuova organizzazione dei tempi di studio è inscritta la negazione di un antagonismo possibile.
L’altro risultato rilevante del sistema dei crediti, parallelamente alla dequalificazione, frammentazione e neutralizzazione del sapere, è l’aumento esponenziale del numero di esami e dei ritmi di studio. Frequentare 10-12 corsi l’anno e preparare altrettanti esami, se da una parte è necessario per proseguire il corso di studi, richiede un investimento di tempo ed energie che può facilmente raggiungere la totalità dell’attività quotidiana. Nella nuova università il tempo di studio tende sempre più ad assorbire l’intero tempo di vita: una costante messa al lavoro dell’intelligenza per la riproduzione di un sapere “neutro”, in realtà perfettamente integrato alle esigenze dell’accumulazione capitalistica. Contemporaneamente a questa messa al lavoro ed a valore del tempo e dell’intelligenza , l’attuale organizzazione degli studi, con la proliferazione di esami e corsi di laurea, favorisce una crescente individualizzazione del percorso formativo. E’ sempre più difficile pensare e praticare percorsi comuni di studio ed approfondimento, persi nel mare magnum di un'offerta didattica esplosa, che per di più favorisce la dispersione degli studenti.

L’intreccio di questi elementi si traduce in una realtà desolante: un pauroso restringimento di tempi e spazi per l’aggregazione sociale e politica. Il tempo dello studente è richiesto nella sua interezza dall’istituzione, che costruisce parallelamente dispositivi che incoraggiano e premiano la riproduzione di un paradigma individualista. La possibilità della trasformazione si dà a partire dalla ricomposizione delle individualità e dei bisogni, ricomposizione che matura dentro lo scambio e la conoscenza reciproca. Questa possibilità è sempre più negata anche dentro l'università, che chiude spazi per l'autorganizzazione e la lotta. L'odierna organizzazione del percorso formativo quindi disciplina il tempo e frammenta le individualità, riproducendo quotidianamente condizioni di subordinazione e di ricattabilità, dotandosi di dispositivi che ne garantiscano l'immutabilità. Una possibile definizione di precarietà nel percorso formativo sta quindi nella riforma del 3+2: nel complesso di dispositivi da questa messi in campo per impedire una ricomposizione in chiave antagonista tanto del sapere quanto della soggettività studentesca.

Esiste anche un’altra dimensione nella quale si articola una possibile definizione di precarietà studentesca; una dimensione fatta di bisogni negati e lavori precari. Il punto di partenza di questa riflessione è banale quanto ineludibile: studiare costa. Il nodo dei costi materiali di accesso allo studio si fa oggi sempre più stringente, in quanto si inserisce in un contesto di progressiva erosione dello stato sociale: la diminuzione dei redditi e dei salari; le privatizzazioni dei servizi; la diminuzione della spesa pubblica per la sanità, l’istruzione, i trasporti. Nel contesto specifico dell’università si aggiunge un incremento esponenziale delle tasse di iscrizione ed in generale dei costi direttamente legati al percorso di studio. Il concorso di questi fattori genera due conseguenze: da una parte una violenta selezione sociale all’esterno, dall’altra una crescente incertezza sulla possibilità di portare a termine i propri studi.
La selezione tuttavia agisce anche ad altri livelli, comuni a tutti quei soggetti che attraversano il tessuto metropolitano. Mangiare, abitare, spostarsi sono precondizioni necessarie a qualsiasi attività, in quanto attengono alla sfera della sopravvivenza: ciononostante questi bisogni primari sono ormai pienamente assorbiti dai processi di messa a profitto che investono tutti gli aspetti della vita sociale. L’intreccio di costi “interni” all’università e costi “esterni” legati alle necessità quotidiane, genera una fortissima dipendenza economica che facilmente si traduce in ricattabilità e disponibilità allo sfruttamento. Nell’equilibrismo quotidiano necessario per il soddisfacimento di questi bisogni, quindi, si manifesta una forma di precarietà che, mentre priva molti della possibilità di accedere al sapere, costringe la maggior parte degli studenti a costruire la propria sopravvivenza dentro l’universo delle nuove forme di lavoro subordinato. Dentro l’ipermercato-metropoli il precariato studentesco è investito di una duplice funzione produttiva: fonte di reddito ed allo stesso tempo manodopera flessibile, ricattabile e a basso costo. Se questa duplice condizione accumuna gran parte della soggettività studentesca , sia pure con i peculiari connotati sin qui descritti, all’intero precariato metropolitano; questa vive sulla propria pelle una ulteriore, carateristica forma di precarietà.

Infatti come la nuova organizzazione degli studi richiede la piena disponibilità del tempo di vita, altrettanto fanno le nuove forme di precarietà lavorativa. Dal conflitto insanabile tra queste due “disponibilità totali” nasce la speciale ricattabilità degli studenti lavoratori; schiacciati tra un’università sempre più escludente verso chi non ne segue i ritmi frenetici e condizioni lavorative altrettanto esigenti.
Quindi è anche in tal senso che si può e si deve parlare di precarietà studentesca: non solo nella riproduzione passiva di un sapere frammentato e depotenziato dalla capacità di critica dell’esistente, non solo nell’impossibilità di costruire aggregazione sociale e politica. La soggettività studentesca è precaria nell’essere costretta a subordinazione, ricattabilità, incertezza nelle condizioni materiali di sopravvivenza

Abbiamo sin qui provato a definire in che senso è possibile parlare di precarietà studentesca come condizione del nostro presente, dentro e fuori l’università. Esiste però un’ulteriore possibile estensione di questa definizione, estensione che guarda al futuro che ci aspetta dopo l’università ed alla funzione che questa ricopre dentro l’attuale modo di produzione. Affrontare questo nodo problematico significa esaminare innanzi tutto il principale dispositivo del 3+2, che è proprio la scansione del percorso di studio in due cicli.


Il primo livello (laurea triennale), volutamente di massa, è pensato per garantire un livello minimo di “cittadinanza del sapere”, un grado “medio” di conoscenze e competenze spendibile immediatamente e modularmene nel mondo dei lavori precari. Il secondo livello deve essere riservato ad una élite, selezionata di fatto con criteri economici, anche quando velati dietro la maschera ipocrita della meritocrazia. La laurea biennale, di fatto unico equivalente del tradizionale titolo di studio, dovrebbe formare professionalità specializzate, in grado di occupare posizioni più elevate nella gerarchia sociale, ma in realtà attraversate anch’esse dai diffusi processi di precarizzazione, come il caso dei ricercatori universitari dimostra ampiamente. E’ tuttavia evidente come tale progetto, organico alla riforma, venga altresì declinato sul piano locale dalle iniziative delle singole università: il fiorire di sbarramenti e numeri chiusi per l’accesso alle lauree specialistiche sono la diretta applicazione di un modello altamente selettivo ed escludente, ed al contempo complementare e funzionale alle nuove esigenze del sistema produttivo e del mercato del lavoro.
L’università è così “fabbrica” della precarietà futura, ma è anche “palestra”. La costante messa a lavoro dell’intelligenza, la costante frammentazione dei saperi e dei percorsi di studio, la precarietà nella formazione come nella vita materiale, il disciplinamento e la giustificazione di uno stato di cose presentato come naturale e necessario “preparano” ed “educano” ad una vita sottoposta alla ricattabilità perenne. Stare all’università vuol dire anche prepararsi ed abituarsi a concepire la propria esistenza come organizzata in vista della precarietà. L’incertezza e l’instabilità dell’oggi prepara quella di domani: la prepara materialmente (produzione di nozioni, abilità, competenze larghe e adattabili alle diverse forme di lavoro) ma anche culturalmente, giustificando la subordinazione sul piano ideologico e costruendo i presupposti della sua presunta necessità.

 

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